E ieri ci siamo dovuti sorbire anche l’ospitata della Egonu. Indubbiamente gradevole nei modi, sin dall’inizio è stata oggetto di quanto era prevedibile e anche necessario, secondo chi l’ha voluta: sdebitamento. E allora ecco l’aggettivo di recupero: bellissima.

Perché? Perché, se c’è un’ospite donna, non se ne può prescindere? Se salisse sul palco dell’Ariston un uomo, pur gradevole, di certo non gli verrebbe detto ‘bellissimo’. Allora il problema è che siamo sempre a distinguere il bello ed il brutto (cosa possibile, anche se molto soggettiva) solo nei confronti della donna. Siamo quasi sempre obbligati a dirlo, perché diversamente sarebbe scortese, perché guardiamo sempre e solo l’esteriorità, o perché non sappiamo cos’altro evidenziare. Poi, nel suo caso, dobbiamo ‘recuperare’: sì, perché è stata oggetto di qualche riflessione non gradevole, e ha risposto parlando di razzismo degli italiani. E gli italiani cosa fanno? La fanno andare sul palco di Sanremo, dove in verità si canta, e le dicono che è bellissima, le danno 5 minuti per “non dare lezioni di vita” e per riconciliarsi con tutti. Pace fatta, grazie e arrivederci.

Eppure quell’aggettivo, ‘bellissima’, è l’indizio che ci deve far sospettare che ancora molto non va. Finché continueremo ad elargirlo, senza renderci conto del resto, anche quando può essere addirittura paradossale (perché, ad esempio, Paola Egonu può non apparire affatto bellissima), mostreremo i limiti di questa strategia di recupero.

Il rischio è quello di realizzare un involontario paradosso. Un uso improprio dell’aggettivo superlativo, laddove si sta cerando di valorizzare la persona che – paradossalmente – non risponde neanche a canoni di oggettiva bellezza.

Il problema, sia chiaro, non è valutare se Paola Egonu sia bellissima o non lo sia affatto, ma smettere di utilizzare superlativi sempre riferiti all’esteriorità femminile. Perché, così facendo, li trasformiamo in inutili superlativi di genere.
 
Foto: Getty Images


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