Oggi Franco Coppi, intervistato dal Corriere della Sera, dice due cose che mi hanno particolarmente colpito. La prima consiste nel racconto di un’udienza in Cassazione, dove qualche settimana fa va ad affiancare un collega che aveva già depositato una memoria di oltre 100 pagine. Il presidente lo rimarca, e a Coppi che prende la parola ricorda di avere 34 processi, quel giorno. Coppi gli risponde che non rinuncerà ad una sola parola della sua discussione.

La seconda riguarda la proposta che Coppi fa per velocizzare i tempi del processo penale. Sottolineando che farà storcere il naso a molti colleghi, spiega: restituire al giudice del dibattimento la conoscenza degli atti.

“Oggi esiste quest’idea sacra che il giudice debba arrivare vergine al dibattimento. Ma se uno è perbene e onesto intellettualmente può leggere gli atti e farsi un’idea prima del processo e poi, in aula, può anche cambiarla sentendo le parti”.

L’idea a me piace da sempre. Però, mentre demolisce questo ipocrita baluardo della verginità dibattimentale del giudice, tiene in piedi quello dell’oralità a tutti i costi, anche quando i margini non esistono. E su questo, come collega e studioso della comunicazione giudiziaria, mi trova in disaccordo.

Baluardo che viene, baluardo che tiene.


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© Gianluca Sposito