Era il 17 giugno 1983 ed Enzo Tortora veniva mostrato all’Italia intera, nella ‘televisione’ degli Italiani all’ora di pranzo, ammanettato. Mia madre, quarantenne con un buon grado di istruzione (era laureata in filosofia ed insegnava), ne fu meravigliata e sentenziò: “Pensa un po’…”. 

Non era solo stupore. L’additivo retorico, realizzato tramite intonazione e postura, stava a significare: “Da lui proprio non me l’aspettavo”.

Non ricordo se i miei genitori fossero, poi, ‘innocentisti’ o ‘colpevolisti’. Di certo, però, quella fiducia avvertita quasi come doverosa nei confronti della giustizia, alla prima notizia le aveva fatto escludere qualunque alternativa alla colpevolezza.

Avevo 10 anni e – ora posso ammetterlo – il caso Tortora ha forse ucciso la mia innocenza, almeno per quanto riguarda il mio rapporto con la ‘fiducia’ negli esseri umani e poi, successivamente, nella giustizia. 

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Oggi pomeriggio, a Pesaro, discuteremo di come la verità storica sia stata ignorata, distorta o interpretata strumentalmente e – assistita da una narrazione giornalistica spesso discutibile – sia divenuta verità processuale drammaticamente fallace.

Per non dimenticare. Mai.

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Venerdì 16 giugno ore 15, Sala consiliare della Provincia di Pesaro e Urbino, Viale Gramsci 4, Pesaro.

Evento organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Urbino, in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti delle Marche.

Ingresso libero.



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© Gianluca Sposito