È stato molto penoso, ieri (ma ancora oggi) assistere all’infinita serie di commenti apparsi in un post (su Facebook) nel quale mi sono occupato di un personaggio del mondo calcistico e della sua comunicazione. Sì, perché è esattamente quello che faccio sui social: parlare di linguaggio e comunicazione, libri e letteratura, cinema e teatro.

Mi capita, quindi, di toccare anche ambiti come politica e sport, ma limitatamente all’esigenza di riflettere su un certo aspetto, comunicativo.

Ma è inutile, perché – complice l’algoritmo di Meta Facebook, in questo caso – il mio post viene proposto prevalentemente a chi di politica e sport parla ogni giorno, soprattutto al bar, e cerca post dove commentare con quelli che sono i suoi modi e i suoi argomenti (ovviamente, prevalenti perché migliori degli altri, anche se non c’entrano assolutamente nulla con il post – i cosiddetti “commenti a prescindere”…).

In copertina c’è l’immagine di un certo politico o di un certo sportivo, o c’è un titolo (che poi, magari, è solo l’inizio di una riflessione diversa nel post)? E vai, si comincia! Sposito ha scritto che il politico Rossi si è espresso male? E allora vuol dire che Sposito è per il politico Bianchi! E via dicendo.

Se volete il dettaglio tecnico, stiamo parlando di bias di conferma e fallacia del falso dilemma, cioè difetti del ragionamento. Il bias di conferma è sfruttato anche da motori di ricerca e algoritmi: a chi crede che la Terra è piatta, e cerca con insistenza su un motore di ricerca notizie di un certo tipo su questo argomento, verranno proposti sempre più contenuti in linea con le ricerche e le aspettative. Ragionare per fallacia del falso dilemma significa, invece, polarizzare qualunque discussione: se non appare nero, è sicuramente bianco.

A tutto ciò si aggiunge, poi, la caratteristica tipica degli utenti social: l’appartenenza al gregge, che – per quanto di pecore – fa comunque effetto.

Cosa fare, allora?

Per il momento, oggi ho deciso di parlarvi di bias cognitivi e fallacie (che non interessano certo quelli che parlano al bar e poi su Facebook, quindi a loro questo post non verrà neanche lontanamente proposto). E poi, per depistare ancora di più, su Facebook non ho messo un titolo e come copertina ho usato una bella immagine delle spiagge di Tuvalu, un arcipelago formato da 9 atolli nel mezzo dell’Oceano Pacifico, vicino alla Polinesia, che sta purtroppo scomparendo a causa dell’innalzamento delle acque marine.

p.s. volete vedere che qualche demente commenterà: “Non ce ne frega niente di dove vai in vacanza!”, oppure “…mentre c’è gente che non arriva alla fine del mese! Vergogna!” – ho voglia di ridere!



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© Gianluca Sposito