Sta impazzando, in queste ore, la polemica scatenata da un’indagine giornalistica sulla laurea (che non c’è) del Presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Presidente che, dunque, almeno fino a poco fa e secondo alcuni quotidiani, si sarebbe speso – o non avrebbe impedito che ciò accadesse – come “Dottore”.

Il problema non è, ovviamente, avere o non avere una laurea, ma – come il buon senso e l’economia domestica impongono – non spendere ciò che non si ha (e neanche tollerare che ciò avvenga).

E voglio raccontarvi un aneddoto. Molti, ma molti capelli fa, un altissimo dirigente di un ente regionale (se non della regione stessa) mi contattò chiedendomi di assisterlo nel percorso universitario, mai avviato. Anche lui era uno di quei “dottori in pectore” che – in assenza di regole, controlli e morale – occupavano poltrone facendo apparire scontati titoli e competenze.

Esilarante fu quando mi disse: “Vede, io ho necessità del titolo, perché anche da altri uffici chiedono sempre il mio parere giuridico: voglio sentirmi a posto”.

In Italia il titolo di studio funge da carta da parati: copre le incrostazioni.

Scavate gente, scavate…


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© Gianluca Sposito