Alcune premesse su un tema estremamente delicato e divisivo: 1) la violenza non può avere mai alcuna giustificazione; 2) Hamas è un gruppo di terroristi, e come tale va trattato; 3) i Palestinesi non appartengono tutti ad Hamas e non possono patire sofferenze altrettanto ingiustificate come quelle inflitte agli ebrei.

Chiarita la mia posizione, vorrei riflettere sulla “banalità del male”, richiamando un celebre saggio del 1963 di Hannah Arendt (sul processo al nazista Adolf Eichmann). Ieri è stato infatti diffuso un documento raggelante: la conversazione telefonica tra un terrorista di Hamas e i suoi genitori:

«Papà, papà, ho ucciso degli ebrei! Ne ho uccisi 10! Li ho uccisi con le mie mani, papà”».

«Allah Akbar, che Dio ti protegga figlio mio».

Ancor più commossa la madre: «Come vorrei essere lì con te».

La Arendt, seguendo il processo, ricavò l’idea che il male perpetrato da Eichmann – come dalla maggior parte dei tedeschi che si resero corresponsabili dell’Olocausto – fosse dovuto non a un’indole maligna, ben radicata nell’anima, quanto piuttosto a una completa inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni.

Oggi, ancora una volta, ci troviamo di fronte a manifestazioni di tale odio da doverci inevitabilmente chiedere: quanto può essere banale, il male?


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© Gianluca Sposito