Quello che vedete nell’immagine di copertina impedirà finalmente agli avvocati di definire le tesi di controparte sempre e comunque, a mo’ di semplice cliché, “inconferenti, pretestuose, infondate, apodittiche, prive di pregio e destituite di fondamento”? Purtroppo non credo, e si tratta solo di uno dei tanti esempi possibili. 

La sinteticità è un requisito di contenuto cioè qualitativo, e non può dunque essere gestito in termini di dimensione del testo, che è elemento quantitativo. 

Come ripeto da anni, e da diversi libri, occorre riflettere – seriamente – su una formazione molto diversa per avvocati e magistrati, che consenta di far arrivare ‘naturalmente’ all’obiettivo che oggi si vuole ottenere imponendo dei numeri. Quell’obiettivo, più in generale, non è che il miglioramento complessivo di linguaggio e comunicazione, anche in ambiti formali (a prosa cosiddetta ‘sorvegliata’).

Se non si apprende ‘come’ comunicare efficacemente, l’imposizione di parametri quantitativi – oltre che frustrare le categorie professionali – potrebbe paradossalmente produrre una comunicazione ancora peggiore (ove mai possibile). Questo perché il pensiero può essere ‘oscuro’ (e, dunque, inefficace comunicativamente) anche se sintetico. Ci si dimentica, infatti, del canone della chiarezza (inutilmente ricordando che già la retorica classica sapeva indicare bene come rispettarlo).

Ma tutto questo non lo si apprende perché si devono tagliare frasi.



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© Gianluca Sposito