Quando non c’erano né Geolier, né Sanremo, né Amadeus, c’era una canzone napoletana che segnava il passaggio dalla musica popolare alla canzone d’autore: era il 1839.
Sull’origine, il dibattito ferve ancora: il testo sembrerebbe attribuibile al poeta Raffaele Sacco, mentre la musica al maestro Filippo Campanella (ma c’è anche chi ha visto la mano di Gaetano Donizetti).
Sulla sua fama, non c’è invece discussione. Il ritornello, in particolare, divenne talmente celebre da essere cantato ovunque, fino all’esasperazione (di molti).
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«’Nzomma songh’io lo fauzo?
Appila, sié’ maesta:
Ca ll’arta toja è chesta
Lo dico ‘mmeretá.
Io jastemmá vorría
lo juorno che t’amaje!
Io te voglio bbene assaie
e tu nun pienze a mme»
«Insomma sarei io il falso?
sei maestra nel rimediare,
perché la tua specialità è questa
lo dico in verità.
Io vorrei maledire
il giorno che ti amai!
Io ti voglio tanto bene
e tu non pensi a me»
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© Gianluca Sposito