Oggi ci occupiamo di una parola straniera: burnout. È un termine di origine inglese che letteralmente significa “bruciato”, “esaurito” o “scoppiato”. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il burnout è una sindrome derivante da stress cronico associato al contesto lavorativo o familiare, che non riesce ad essere ben gestito.

Ma cos’è esattamente il burnout dei genitori? La scienza lo definisce come uno stato di “esaurimento eccessivo legato al proprio ruolo genitoriale, un allontanamento emotivo dai propri figli e un senso di inefficacia genitoriale”.

Ebbene, in Germania se sei un genitore che ne soffre hai diritto a tre settimane di “ritiro”. Sì, proprio così: tre settimane di riposo in clinica, pagate dallo Stato. E si tratta di un diritto, previsto per legge, di cui poter usufruire ogni 4 anni. Inclusi nel pacchetto di cura, oltre le terapie, anche pasti, pernottamento e assistenza ai bambini. Ma attenzione: l’elemento fondamentale è che il ritiro non sia fatto solo per curare un problema di salute, ma anche come misura preventiva per evitare che problemi relativamente lievi (di natura psicologica) si trasformino in problemi peggiori.

Una volta che si entra nella clinica, si ha diritto di portare con sé anche i figli minori di 12 anni. Il costo del soggiorno e delle terapie è a carico dell’assicurazione, mentre il paziente partecipa alla spesa con soli 10 euro al giorno.

Parola, dunque, burnout, che ha un forte significato connotativo, anche in inglese: parlare di genitori affetti da sindrome del burnout come di genitori ‘scoppiati’ o ‘bruciati’ rende bene l’idea in italiano.


Articolo visibile anche su: LinkedIn, Facebook, Retoricamente, Visiones.