Si discute, e molto, su una proposta che si fa sempre più largo: abolire i voti anche alle scuole superiori. O, meglio, abolire i giudizi espressi con dei numeri, sostituendoli con giudizi descrittivi e autovalutazioni.

Il voto genera ansia da prestazione? Qual è l’incidenza della valutazione sull’apprendimento? La scuola deve essere solidale e cooperativa, o competitiva? Il dibattito è acceso. 

Apro un fronte ulteriore: quello universitario. A 24 anni, dopo qualche mese da neolaureato e apprendista stregone di come si può valutare adeguatamente il prossimo, ho cominciato a “dare i primi numeri”, esaminando uno stuolo infinito di studenti universitari. All’inizio, tanti anche più grandi me.

Francamente, già allora, ero scettico sulla possibilità e sulla opportunità di valutare uno studente con un voto che possa adeguatamente inquadrare la sua prestazione e, indirettamente, la sua preparazione. Difficile, a mio avviso, distinguere adeguatamente un 23 da un 24, o un 27 da un 28. Non parlatemi di scale di valori apposite: trovo tutto comunque discutibile quando il grado differenziale è un’unità di misura così minima.

Sarei piuttosto propenso a valutare l’appartenenza a fasce di rendimento. Un’opinione, ovviamente. Dopo un quarto di secolo dedicato anche a valutare il prossimo, forse un’opinione però stagionata…


No AI Text – Testo realizzato senza l’ausilio di Intelligenza Artificiale / AI text generator


Articolo visibile anche su: LinkedIn, Facebook, Retoricamente, Visiones


© Gianluca Sposito