
È appena terminato il Salone del Libro di Torino. Un fotogramma mi induce qualche riflessione: le 1.200 persone che si sono prenotate e sono poi andate a sentire (vedere) Salman Rushdie. Il cui libro ha però venduto, in tre settimane, meno di 800 copie.
C’è chi, allora, ha giustamente parlato di “feticismo delle merci culturali” (Guia Soncini per “Linkiesta”, 11 maggio), “perché una presentazione alla quale puoi autoscattarti e instagrammarti è un prodotto (culturale?) ormai più appetibile d’un libro”.
Un grande successo di presenze, il Salone, si è detto ancora prima che forse cominciasse; “ma è pieno di gente perché alla gente (che siamo noi, nessuno si senta escluso) piace andare nei posti in cui puoi fare le foto e mettere il tag, mica perché le piace leggere”.
Quindi, perché mai comprare e leggere Rushdie, quando posso molto più semplicemente farmi un’idea (e un selfie, e un’instagrammata, e un post) direttamente con lui sullo sfondo? Ci vado dunque leggo. Lo vedo dunque so.
Viva il libro (del quale mi hanno parlato)! Viva la cultura (e i suoi totem)!


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© Gianluca Sposito