
Siamo abituati a percepire gli attori di lingua inglese come impeccabili. Li ascoltiamo nei film in originale, spesso senza cogliere le differenze di accento, o direttamente doppiati, privati di qualsiasi inflessione regionale. Intanto, però, siamo pronti a criticare aspramente gli attori italiani che, nei loro ruoli, lasciano emergere anche solo vaghe inflessioni dialettali. Ma la realtà è ben diversa.
L’illusione di perfezione
Nel mondo anglofono, le inflessioni regionali e gli accenti sono una questione seria, capaci di trasformare un’interpretazione in un successo o in un disastro. Attori come Robert De Niro e Al Pacino, per esempio, vengono spesso associati a un accento fortemente newyorkese o italo-americano, che in molti ruoli funziona alla perfezione, ma in altri casi può risultare una forzatura. Anche Dustin Hoffman e Marlon Brando, due leggende assolute del cinema, non sono stati esenti da critiche. Lo stesso Brando, in “Un tram che si chiama desiderio”, non ha convinto tutti con il suo accento sudista, così come Hoffman è stato accusato di utilizzare accenti troppo stereotipati in alcuni ruoli.
E poi c’è Al Pacino in “Scarface”: il suo accento cubano ha diviso il pubblico tra chi lo ha considerato iconico e chi lo ha trovato poco autentico. Per non parlare di Keanu Reeves in “Dracula” di Bram Stoker, dove il suo tentativo di adottare un accento inglese è stato largamente deriso.
L’eccezione alla regola
Pochi attori sono riusciti davvero a padroneggiare una dizione neutra e perfettamente calibrata. Cate Blanchett, ad esempio, è nota per la sua straordinaria capacità di imitare accenti, dal britannico al russo, senza mai risultare forzata. Lo stesso si può dire di Meryl Streep, che ha incantato con la sua varietà di inflessioni, dal polacco in “La scelta di Sophie” all’irlandese in Doubt. Anche Christian Bale, gallese di origine, riesce a passare dal britannico all’americano con una fluidità impressionante.
La doppia morale
Eppure, da italiani, spesso non percepiamo queste sfumature. Guardando i film doppiati, ci perdiamo completamente le imperfezioni e i dettagli delle inflessioni originali. E quando li ascoltiamo in inglese, la nostra familiarità limitata con la lingua ci impedisce di giudicarli con la stessa severità che riserviamo ai nostri attori.
Se un attore italiano lascia trapelare un’inflessione regionale, lo percepiamo subito come una “macchia” nella sua performance. Perché non siamo altrettanto critici verso gli attori stranieri? Non perché siano necessariamente migliori, ma semplicemente perché non capiamo abbastanza le loro inflessioni per accorgercene.
Conclusione
Il problema delle inflessioni e degli accenti non è esclusivo dell’Italia: riguarda tutto il mondo. Anche gli attori più grandi, quelli che consideriamo “perfetti”, devono confrontarsi con le critiche sulla loro capacità di parlare in modo neutrale o autentico. Quindi, prima di criticare gli attori italiani per un accento che spunta qua e là, ricordiamoci che il cinema è un’arte globale, e che l’imperfezione è universale.
E smettiamola con l’idolatrare, a prescindere, ciò che è oltremanica e oltreoceano.
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Testo di © Gianluca Sposito. Tutti i diritti riservati.
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