
“Non si può non riconoscere che l’assunto dell’ordinanza impugnata non sia privo di fondamento.”
Vi sembra una frase normale? No, non lo è. È un esempio perfetto di ragionamento che sembra logico, ma non lo è affatto.
Questa costruzione tripla – non si può non riconoscere che qualcosa non sia privo – è uno specchio linguistico deformante: non riflette il pensiero ma lo complica, lo nasconde, lo distorce. Non sappiamo cosa dica. Ma peggio ancora: ‘sembra’ che dica qualcosa.
Come, quando e perché il linguaggio giuridico simula un ragionamento logico senza esserlo davvero? E non si dica (peraltro, a me che li insegno da oltre 20 anni) che si tratta di additivi retorici. No, ahimè qui ci vorrebbero ben altri additivi per correggere questi cortocircuiti del pensiero travestiti da logica giuridica.
Che i giuristi possano capire, capirsi e riconoscersi, non è certo una spiegazione o un salvacondotto, dopo aver ucciso la logica e (ancor più spesso) la lingua italiana.
È ora di cambiare. Anzi, è anche un po’ tardi.
***
“Manuale di comunicazione forense”, Edizioni Intra, 24 marzo 2025
🔎 Scheda, indice e introduzione:
👉 https://edizioni.intra.pro/prodotto/sposito-gianluca-manuale-di-comunicazione-forense/
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