Ho parlato, in questi giorni, della sentenza di assoluzione di Silvio Berlusconi e di come sarebbe stata strumentalizzata (come in effetti è accaduto) utilizzando un particolare strumento della comunicazione, che è la fallacia argomentativa.

Quelli che non hanno percepito l’aspetto molto tecnico delle mie riflessioni hanno erroneamente pensato che io abbia posizioni di parte e, soprattutto, non veda le storture del sistema da parte dei pubblici ministeri e dei giudicanti.

È falso. Ho più volte scritto, in articoli e libri, quanto il ragionamento soprattutto di pubblici ministeri e giudicanti faccia pericolosamente uso proprio di fallacie argomentative, generate a monte da veri e propri bias cognitivi (che sono distorsioni nocive che le persone attuano nelle valutazioni di fatti e avvenimenti).

Tra i tanti casi che ho raccolto e analizzato vi è forse quello più sconcertante di Rignano Flaminio (2006-2012), dove una illuminata Cassazione fa a pezzi il ragionamento della Procura e del GIP in merito alla responsabilità molto presunta dei sei indagati per plurimi reati a danno di minori di una scuola materna, mostrando in particolare di conoscere cosa sia una fallacia argomentativa:

“il ragionamento del pubblico ministero contiene una petizione di principio (o ragionamento circolare) perché trasforma l’oggetto da provare in criterio di inferenza: non è possibile da un indizio sicuro in fatto, ma equivoco nella interpretazione, concludere per la certezza dell’evento che rappresenta il tema probatorio. Più in generale, costituisce un ragionamento circolare e non corretto ritenere che i sintomi siano la prova dell’abuso e che l’abuso sia la spiegazione dei sintomi”.

E così, negli anni, molte sentenze di legittimità sono riuscite a smascherare i ragionamenti di altre che avevano realizzato soprattuto fallacie del ragionamento circolare pur di prospettare conclusioni in cui credevano solo i loro estensori ma che, a ben guardare, non erano sostenibili né logicamente né giuridicamente.

Avvocati e magistrati, prima di accendersi come fuochi fatui solo perché si cita un Berlusconi o un Renzi o chiunque altro sia generalmente divisivo nell’opinione pubblica, dovrebbero riflettere su questi problemi, molto tecnici, che affliggono il sistema giudiziario e verso i quali provo la più profonda tristezza ma anche la più forte determinazione nel divulgarli.

La scienza giuridica non è fatta solo di tecnica processuale ma, oggi, deve necessariamente tener conto anche di altre discipline, che i giuristi – nella loro formazione – non incontrano se non per autonoma curiosità: psicologia, retorica, neuroscienze ecc.

Solo attraverso una adeguata formazione, molto più multidisciplinare, si potranno correttamente affrontare (e criticare) pensieri e decisioni.


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