Umberto Eco nel 1961 scrisse qualcosa che, per anni, farà molto soffrire il celebre presentatore: “Fenomenologia di Mike Bongiorno”. Nel saggio, Eco – tra le altre cose – così scriveva:

“Il caso più vistoso di riduzione del superman all’everyman lo abbiamo in Italia nella figura di Mike Bongiorno e nella storia della sua fortuna. Idolatrato da milioni di persone, quest’uomo deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità assoluta unita (questa è l’unica virtù che egli possiede in grado eccedente) ad un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costruzione o finzione scenica: sembra quasi che egli si venda per quello che è e che quello che è sia tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto. Lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti.”

Aldo Grasso scrisse successivamente sul Corriere della Sera:

“Per anni, un famoso editore mi ha chiesto di scrivere una “Fenomenologia di Umberto Eco” firmata da Mike Bongiorno. Doveva essere una sorta di piccola vendetta, un risarcimento che il conduttore voleva prendersi per essere stato descritto come la fodera invisibile della mediocrità, lo zimbello della cultura.”

Per Eco, la tv aveva unificato linguisticamente la penisola, là dove non vi era riuscita la scuola. Lo aveva fatto nel bene e nel male. Aveva uniformato non con il linguaggio di Dante ma con quello di Mike.

La serie “Mike” ha ritratto un ‘uomo’ ma nulla ha detto su quello che lui e la ‘sua’ televisione hanno rappresentato, nel bene e nel male, per la società italiana. Meglio così?


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© Gianluca Sposito