Ora che sono disponibili tutte le puntate, possiamo parlarne un po’ più liberamente.

Ma per dire cosa? Che ci hanno marciato troppo.

Cosa significa, anzitutto, ‘disclaimer’? È la clausola di esclusione di responsabilità, o anche una dichiarazione di non responsabilità. E la serie è una riflessione sul potere della narrazione, sulla manipolazione dei fatti e su come le convinzioni, i pregiudizi sociali e i preconcetti influenzino la nostra percezione della realtà. 

Al centro della scena il personaggio di Cate Blanchett, Catherine Ravenscroft, celebre giornalista e documentarista che ha fatto fortuna rivelando gli scheletri nell’armadio degli altri. Tuttavia, l’esistenza dorata di Catherine viene sconvolta da un romanzo che le viene recapitato, “The Perfect Stranger”, introdotto da un disclaimer, appunto:

”Ogni riferimento a persone realmente esistite, vive o morte, NON è puramente casuale”.

Detto questo, ribadisco: ci hanno marciato troppo.

E va bene voler far capire che la “verità” – univoca, da ricercare e porre sotto teca – non esiste. Ma lo ripeto instancabilmente ai miei studenti, da anni: esistono delle “verità”, tutte relative, che in molti contesti si scontrano e tra le quali qualcuna può prevalere, determinando la storia di persone e cose.

E va bene non lesinare risorse per una serie (dal regista di grido, all’ambientazione, agli attori – indubbiamente bravissimi Cate Blanchett, Kevin Kline e Sacha Baron Cohen, diretti da Alfonso Cuarón).

E va bene dover realizzare, per forza di cose, una “serialità”, con la naturale conseguenza di dover (e poter) approfondire qualche passaggio o profilo.

Ma 7 puntate, qui, sono state davvero troppe: troppo dilatate, con una ‘storia’ troppo tirata.

La scelta delle “7” puntate  riflette l’intenzione del regista Alfonso Cuarón di adattare fedelmente la struttura narrativa del romanzo omonimo di Renée Knight. Cuarón ha dichiarato di aver concepito la serie come un’unica opera cinematografica suddivisa in sette capitoli, ciascuno corrispondente a una parte specifica della storia originale. Questa suddivisione, secondo quanto ha dichiarato, permetterebbe una narrazione approfondita e coerente, offrendo al pubblico un’esperienza immersiva che rispetta l’integrità del materiale di partenza. 

Non ho letto il romanzo di Knight, e non posso dunque esprimermi sulla corrispondenza tra scrittura letteraria e adattamento televisivo (ma chi lo ha letto può intervenire, è davvero ben accetto). Però parlare, come anche è stato fatto, di “innovazione” di questa serie nella narrazione di genere, è davvero eccessivo: le prospettive (e le narrazioni) diverse erano già state utilizzate, nello stesso modo, in molte altre produzioni (per cinema e TV – oltre che in molta letteratura).

Quindi, in cosa si distingue e per quali ragioni può essere vista, questa serie?

Indubbiamente è ben fatta (recitazione, ambientazione e direzione). Ma, sul piano narrativo, pretende troppo: crede troppo in sé stessa e nelle “rivelazioni” che, poi, in fin dei conti, non è che siano proprio in grado di prevalere razionalmente sulle precedenti. Pensiamo al giovane cretino della prima puntata che poi diventa improvvisamente anche ‘altro’ nell’ultima: lo diventa senza che ci siano particolari riscontri a sostegno di quella che rimane solo un’altra verità relativa.

Insomma, scatola gigante e bella confezione. Ma ci si mette troppo a scartarla, e alla fine si è stanchi e un po’ delusi. E si ringrazia solo per educazione.

Peccato: poteva essere un bellissimo film di due ore.

***

“Disclaimer – La vita perfetta”(regia di Alfonso Cuarón, 2024) è disponibile in streaming su Apple TV+. 


No AI Text – Testo realizzato senza l’ausilio di Intelligenza Artificiale / AI text generator


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© Gianluca Sposito