Quarant’anni fa, il 21 dicembre del 1984, usciva nelle sale italiane “Non ci resta che piangere”, un film che è diventato un vero e proprio culto del cinema italiano. La magia nasce dall’incontro di due geni assoluti: Massimo Troisi e Roberto Benigni, che si uniscono non solo come protagonisti ma anche come sceneggiatori e registi. Due artisti immensi che, con la loro spontaneità e complicità, hanno dato vita a un capolavoro dove il non-sense diventa poesia e la comicità si mescola alla fantasia.

La trama è un pretesto perfetto per lasciar correre la genialità dei due: Saverio (Benigni) e Mario (Troisi), due amici che, dopo essere rimasti bloccati con l’auto, si ritrovano catapultati magicamente nella Toscana del 1492. Ed ecco che inizia un’avventura assurda, surreale e indimenticabile. I due, del tutto spaesati, cercano di adattarsi a un mondo che non capiscono e in cui si trovano a dover dialogare con personaggi storici come Leonardo Da Vinci e Cristoforo Colombo. È qui che il genio narrativo del film prende forma: l’intreccio è semplice, quasi improvvisato, ma è nella sua semplicità che risiede l’efficacia di Non ci resta che piangere. Non è la storia a guidare il film, ma i personaggi, le battute e le situazioni esilaranti che, oggi come allora, ci fanno piegare dal ridere.

Ogni scena è diventata un pezzo di storia: dal celeberrimo “Ricordati che devi morire” all’altrettanto mitica lettera a Savonarola, fino al tentativo goffo di fermare Colombo per impedirgli di scoprire l’America con un disperato “chi gliel’ha chiesto?”. È un film costruito sulla spontaneità, che sembra quasi girato seguendo l’istinto comico dei due protagonisti. La grandezza sta proprio qui: Troisi e Benigni riescono a trasformare una sceneggiatura volutamente leggera in una sequenza di momenti iconici che hanno superato il tempo. È la dimostrazione che a volte non servono grandi artifici narrativi per lasciare un segno: basta la verità della risata.

Il successo del film fu clamoroso, anche se in parte inaspettato. Il pubblico si innamorò di Saverio e Mario e delle loro disavventure nel passato, riconoscendo in quei dialoghi senza freni e in quella comicità spontanea qualcosa di unico, qualcosa che appartiene alla tradizione italiana del teatro e dell’improvvisazione. Ancora oggi, a distanza di 40 anni, le battute di “Non ci resta che piangere” sono citate e ricordate da generazioni intere, diventando patrimonio della cultura popolare.

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Testo di © Gianluca Sposito. Tutti i diritti riservati.

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