Il Natale, nel cinema, non è solo luci, regali e commedie spensierate: a volte, è un palcoscenico insolito, silenzioso o persino inquietante per raccontare storie fuori dagli schemi. Alcuni registi hanno scelto di usare questa festività come sfondo o simbolo, trasformandolo in un’occasione narrativa perfetta per esplorare tutt’altro, dando vita a opere malinconiche, drammatiche o cariche di tensione.

Un esempio perfetto è “Eyes Wide Shut” (1999) di Stanley Kubrick. Ambientato in un Natale freddo e scintillante, il capolavoro di Kubrick gioca con i contrasti tra luci festose e ombre inquietanti. La storia di Bill Harford (Tom Cruise) diventa un viaggio nei lati più oscuri del desiderio umano: qui il Natale, con la sua onnipresente simbologia di purezza e rinascita, serve come cornice ironica per una dissoluzione morale che lascia senza scampo.

In “Die Hard – Trappola di cristallo” (1988) di John McTiernan, diventato quasi ironicamente un “classico” alternativo delle festività, il Natale è solo uno sfondo, fatto di canzoni, decorazioni e battute taglienti, ma viene piegato al ritmo serrato di un action movie ad alta tensione. John McClane (Bruce Willis) si ritrova a combattere un gruppo di terroristi alla vigilia di Natale: una serata che avrebbe dovuto essere di riunione familiare diventa una lotta solitaria per la sopravvivenza.

Anche “L’ombra del dubbio” (1943) di Alfred Hitchcock, a sorpresa, trova un sottile collegamento con questa festività. Ambientato nel periodo natalizio, il film racconta la storia di una famiglia apparentemente serena, la cui tranquillità viene incrinata dall’arrivo di un inquietante ospite, lo zio Charlie (Joseph Cotten). Il Natale, con la sua patina di felicità e tradizioni, accentua ancora di più il senso di minaccia nascosta che serpeggia nella trama.

Un altro esempio interessante è “Requiem for a Dream” (2000) di Darren Aronofsky, dove il Natale non è altro che una ricorrenza lontana, sbiadita, trasformata in un simbolo di ciò che i protagonisti hanno perduto. La spirale di autodistruzione dei personaggi trova nella malinconia del Natale un momento di disperata intensità emotiva, in netto contrasto con il calore che solitamente associamo alla festività.

In “Carol” (2015) di Todd Haynes, il Natale diventa la cornice elegante e malinconica di un amore proibito. La storia tra Therese (Rooney Mara) e Carol (Cate Blanchett) si sviluppa mentre le luci natalizie illuminano un’America anni ’50 rigidamente convenzionale. Qui il Natale non è celebrazione, ma un contrappunto visivo e simbolico che sottolinea la solitudine e la delicatezza del legame tra le due protagoniste.

E come dimenticare “American Psycho” (2000) di Mary Harron? Tra le cene aziendali natalizie e gli eccessi degli yuppie degli anni ’80, Patrick Bateman (Christian Bale) sprofonda nella sua follia omicida. Il Natale, fatto di luci artificiali e vuoti rituali sociali, diventa un simbolo del consumismo sfrenato e dell’alienazione di un mondo incapace di vedere oltre la superficie.

Questi film, lontani dalle fiabe zuccherose, usano il Natale non come una celebrazione, ma come un’occasione narrativa: una festività che diventa specchio di contraddizioni, solitudini e lati oscuri. Il cinema ci dimostra che dietro le luci e le decorazioni può nascondersi molto più di quanto appare: malinconia, tensione, desiderio e perfino caos. Perché il Natale, sullo schermo, può essere molto più che una festa: può essere una verità scomoda… ma ne riparliamo domani. Nel frattempo, auguri!

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Immagine generata tramite IA su prompt di © Gianluca Sposito. Testo di © Gianluca Sposito. Tutti i diritti riservati.

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