Il gesto delle virgolette è un gesto della mano che consiste nel movimento degli indici e dei medi per riprodurre delle virgolette immaginarie. Il significato del gesto può indicare ironia, sarcasmo o, più di frequente, la presa di distanza da quello che si sta per dire.

Gli Inglesi lo chiamano “air quotes” (virgolette aeree, carino), e assieme agli Americani hanno il nostro stesso problema. Anzi, pare che l’epidemia sia partita proprio da oltreoceano.

Si tratta di una moda che ha invaso le conversazioni. Anzi: una vera e propria piaga sociale. Perché?

Parlare o essere parlati dal linguaggio? Se lo chiedeva Umberto Eco. Parlare significa usare il linguaggio con consapevolezza e maestria, come un bravo artigiano che usa il suo strumento. Essere parlati significa adagiarsi su luoghi comuni, mode comunicative, comportamenti visti al cinema o in tv, sistemi e ambienti tecnologici.

Ebbene, le virgolette mimate o, meglio, ‘prudenziali’ manifestano l’angoscia di affondare nella palude dell’ambiguità, di essere quindi fraintesi, di essersi spinti troppo oltre, di non padroneggiare la materia. È una sottile declinazione di responsabilità, sottintendendo l’ancora più banale “qui lo dico e qui lo nego”, “lo dico per dire” e simili. Ma una declinazione di responsabilità, nel linguaggio, non è mai una buona cosa; anzi, può essere la spia di una vera e propria soggezione sociale.

Se, poi, si considera che il discorso de visu possiede un vero armamentario, vocale e corporeo, per accompagnare quello che si sta dicendo e realizzare qualunque finalità (dissipare ambiguità, manifestare ironia, prendere le distanze), si comprende bene che non c’è davvero bisogno del macchiettistico uso delle virgolette umane.

È però evidente che abbiamo ormai avviato un percorso inverso a quello evolutivo: se l’uomo primitivo è gradualmente passato dall’uso dei gesti al linguaggio parlato, oggi scivoliamo inconsapevoli dal linguaggio parlato alla gestualità veloce, semplificata, e primitiva.


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