Cosa c’entrano? Il regista Marco Bellocchio, due giorni fa, prima di ricevere agli EFA 2022 il premio per la narrazione più innovativa per la sua prima serie tv “Esterno notte” (sul caso Moro), ha annunciato alla stampa che si dedicherà ad una serie su Enzo Tortora.

“Voglio fare una serie tv su Enzo Tortora per raccontare l’enorme ingiustizia di cui è stato vittima mentre viveva il momento più alto del suo successo con Portobello, oltre venti milioni di spettatori a puntata. Dall’oggi al domani lo mettono in manette e lo portano a Regina Coeli. Un uomo poi assolto, riabilitato completamente, ma quando torna a fare Portobello non ce la fa più a parlare al Pappagallo, non è più lo stesso.”

Titolo della serie? “Potrebbe essere ‘La colonna infame’, ovvero il libro che Tortora voleva sulla sua bara”.

A cosa si riferisce Bellocchio? Ma certo: al saggio storico di Alessandro Manzoni pubblicato come appendice a “I promessi sposi” (nella sua edizione definitiva del 1840). La vicenda narra del processo intentato a Milano, durante la terribile peste del 1630, contro due presunti untori ritenuti responsabili del contagio pestilenziale tramite misteriose sostanze, in seguito ad un’accusa – rivelatasi poi infondata – da parte di una “donnicciola” del popolo, Caterina Rosa. Il processo decretò sia la condanna capitale di due presunti untori, Guglielmo Piazza (commissario di sanità) e Gian Giacomo Mora (barbiere), giustiziati con il supplizio della ruota, sia la distruzione della casa-bottega di quest’ultimo. Come monito venne eretta sulle macerie dell’abitazione del Mora la “colonna infame”, che dà il nome alla vicenda. Solo nel 1778 la Colonna Infame, ormai divenuta una testimonianza d’infamia non più a carico dei condannati, ma dei giudici che avevano commesso un’enorme ingiustizia, fu abbattuta.

Se Enzo Tortora ha voluto portare nell’urna delle sue ceneri la “Storia della colonna infame”, una ragione c’è ed è altamente significativa. Manzoni scrisse questa storia per dimostrare come la furia di ottenere un capro espiatorio da dare in pasto alla moltitudine che esige immediatamente il colpevole è comportamento riprovevole da barbari e non da civiltà del diritto.

Un messaggio, forte allora come oggi.


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