C’è un caso che sta scuotendo l’Università di Palermo: una denuncia pubblica ha portato alla luce una “classifica hot delle dottorande” redatta (all’inizio dell’anno) da un loro collega e circolata tra chat e gruppi social. Con tanto di foto, nomi e voti sulle parti del corpo e sulle possibili prestazioni sessuali.

Va precisato, per qualcuno che non lo sapesse, che il dottorato di ricerca rappresenta il più alto grado di istruzione dell’ordinamento accademico italiano. È quindi un percorso di formazione post laurea, a numero limitato di partecipanti, in una determinata disciplina o gruppo di discipline. Molto più prosaicamente, è un percorso fatto (e fatto fare) da molti all’inseguimento della possibilità di diventare poi docente universitario.

Torniamo al fatto. L’Università, travolta dal clamore, prima ha minimizzato spiegando che si trattava di un gesto di un collega delle donne menzionate che si sarebbe già scusato e sarebbe stato redarguito verbalmente, poi ha spiegato che sarà svolta una indagine più approfondita su quanto accaduto. Pressato, il rettore non ha poi escluso l’ipotesi di sospensione del dottorando.

E ci stanno pure a pensare? L’aspirante dottore di ricerca andrebbe buttato fuori alla svelta. Se fosse accaduto nel privato, ad esempio nella mia casa editrice, avrei provveduto all’istante, risolvendo un problema che è indubbiamente etico ma anche di produttività: che me ne faccio di un cretino che perde tempo a classificare le colleghe, generando peraltro disagio sul luogo di lavoro?

Magari mi si dirà che è un bravo studioso, e una futura risorsa per l’Università italiana. Certo: dopo le dottorande, passerà a classificare le studentesse.


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