No, non sto parlando del titolo di un celebre spettacolo teatrale (una ‘rivista’) di Totò (1956-57). “A prescindere” è la modalità comunemente adottata da chi legge e comunica oggi, sopratutto sui social.

Ad esempio, “a prescindere” dal contenuto di un post: si commenta basandosi sull’immagine o sul solo titolo, o su un semplice nome o su una parola che vanno fortunosamente all’occhio (o che si cerca affannosamente). E, così, diventa una forma di polarizzazione necessaria: o sei di qua o sei di là. Il post o il commento citano semplicemente un personaggio noto, politico o no che sia? E allora ci si concentra solo su quello, “a prescindere” da cosa sia stato scritto. Un banale deragliamento di attenzione, spesso ricercato.

Questo atteggiamento piuttosto diffuso porta infatti alla valorizzazione di tecniche di comunicazione, banali quanto il target che intendono raggiungere. Ed è un proliferare di fallacie della falsa dicotomia (“gli Italiani vogliono questo o piuttosto quello?”, “se non protestate siete al servizio della casta”, “scegli!”, e simili).

L’obiettivo di questa strumentalizzazione è sempre soltanto uno: la manipolazione. È decisamente strano che nessuno si renda conto che questa sarebbe la prima battaglia da combattere: quella per una comunicazione diversa. Per combatterla ci vuole spirito critico. Riflessione. Cautela. Capacità di osservazione. Conoscenza.

Un mondo che comunica “a prescindere”, è un mondo che prescinde dalla realtà.


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