«La vita non si può allungare, ma si può allargare», così Luciano De Crescenzo tra gli ospiti del programma “Pranzo in TV” di Luciano Rispoli che nel 1983 portò l’innovativo format di talk show in televisione. Spiegava che la lunghezza effettiva della vita è data dal numero di giorni diversi che un individuo riesce a vivere: quelli uguali non contano. E che è bello essere tante cose spesso diversissime, allargando piuttosto che allungando la vita: non a caso, lui stesso era stato ingegnere, fotografo, filosofo, attore, regista e tanto, tanto altro ancora. In una sola, straordinaria, vita.
Non so se, con il passare degli anni, prima o poi si comprenderà davvero bene che genio sia stato Luciano De Crescenzo. So solo che, da sempre, a chi mi chiede un modello di pensiero, di divulgazione, di ironia, io continuo a indicare lui.
Proprio Luciano De Crescenzo, l’intellettuale amato da tutti e snobbato dai critici e, forse, proprio dalla cultura italiana. O, forse, solo da quella perfida élite che non sa parlare a tutti e ha in odio chi vi riesce. Senza dimenticare, poi, che chi sorride alla vita è sempre guardato con estremo sospetto (e, forse, invidia).
C’era, però, qualcosa che non faceva sorridere ma addirittura arrabbiare De Crescenzo, ed era la definizione di «scrittore umorista» che gli davano proprio quei critici letterari. Ai quali rispondeva:
«Non esistono scrittori e scrittori umoristi ma solo scrittori che a loro volta si dividono in due categorie: gli scrittori che si capiscono e gli scrittori che non si capiscono».
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Per rivederlo in quella puntata del 5 dicembre 1983:
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© Gianluca Sposito