
Ieri mi sono ritrovato Charles Bronson nella Napoli del 1972 (poco prima che vi nascessi) grazie a “Professione assassino” (disponibile su Amazon), un classico dell’action-thriller anni ’70.
Senza aspettarsi troppo in termini di profondità dei personaggi o della trama, il film (The Mechanic), diretto da Michael Winner, offre ritmo e tensione ben calibrati, senza eccessive complicazioni.
Ma il bello arriva nella seconda parte, quando ci si sposta in Italia e si “gira” – in tutti i sensi – tra le strade di Napoli e della Costiera Amalfitana. Ed è proprio lì che lo spettatore più attento riconosce scorci, edifici, curve e bellezze naturali rimasti pressoché immutati.
La villa che nel film diventa il quartier generale della missione napoletana è l’elegante Villa Volpicelli, in via Ferdinando Russo, già nota per essere la location della fiction “Un posto al sole”. Non poteva mancare poi Piazza del Plebiscito, ampia e solenne come sempre. Il ristorante in cui i due protagonisti osservano il loro obiettivo e discutono i dettagli dell’operazione è l’attuale Villa Caracciolo, in via Posillipo 16: all’epoca si chiamava Ristorante Masaniello, ma la ringhiera vista mare è ancora lì, perfettamente riconoscibile. Anche la villa affacciata sul mare dove ormeggia lo yacht della vittima è un luogo reale: si tratta di Villa Rocca Matilde, sempre in via Posillipo, da cui Arthur (Bronson) osserva e fotografa i movimenti della sua preda.
Poi il film si sposta sulla Costiera Amalfitana, regalando scorci mozzafiato. Si riconosce la cupola maiolicata della chiesa di San Gennaro nella frazione di Vettica Maggiore, a Praiano (SA), così come il Lungomare dei Cavalieri ad Amalfi e il sagrato del Duomo di Sant’Andrea. Suggestiva la scena marina girata, però, nella Baia di Trentaremi, a Posillipo: i due protagonisti si immergono con alle spalle il profilo dell’isola di Capri e, sulla destra, Punta Cavallo.
Seguono spettacolari scene d’inseguimento lungo la SS 163 a Positano e sulla Strada Provinciale 1 a Ravello: un susseguirsi di curve, muretti e scorci da cartolina che danno al film un fascino tutto particolare.
Non posso spoilerare, ma sul finale c’è una scena talmente ‘distruttiva’ da far pensare: com’è possibile abbiano girato davvero una cosa del genere su un parapetto della Costiera Amalfitana? Eppure sì, lo hanno fatto per davvero. Oggi, con il digitale e gli effetti speciali, sarebbe tutto meno ‘demolitorio’. Ma allora si faceva sul serio. Anche troppo.
Insomma: “Professione assassino” è un film americanissimo, ma con dentro tanta, splendida Italia. Vale la visione almeno per questo. Il resto? Be’, quello è un po’ così così…
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© Gianluca Sposito
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