Il Bond con George Lazenby? Sì, proprio lui. Quello che “non sembrava all’altezza”. Quello che fece un solo film. Quello che oggi molti continuano a definire l’anello debole della saga.

Ma siamo sicuri?

Perché a riguardarlo oggi, “Al servizio segreto di Sua Maestà” (1969, regia di Peter R. Hunt) non è affatto peggiore di altri capitoli del franchise. Anzi: per certi versi è più sobrio, più umano e più coraggioso.

🎬 Qualche merito lo ha eccome:

• una colonna sonora splendida firmata John Barry, tra le migliori della serie;

• un finale inatteso e drammatico (senza spoiler, ma chi ha visto sa…);

• una Bond girl “vera”: Diana Rigg, intensa, indipendente, mai decorativa;

• sequenze d’azione girate davvero bene, con uso innovativo della camera a mano;

• e una sceneggiatura che, pur con i limiti dell’epoca, osa spostare il tono più sul personale che sul gadget.

Quanto a Lazenby… Lazenby all’epoca era un modello australiano con qualche esperienza in spot pubblicitari (celebre uno per il cioccolato), senza formazione attoriale né credenziali da protagonista. Viveva a Londra, era giovane (29 anni) e molto prestante fisicamente, con un look che ricordava vagamente quello di Sean Connery.

Dopo “Agente 007 – Si vive solo due volte” (1967), Sean Connery annunciò l’addio al ruolo. I produttori Albert R. Broccoli e Harry Saltzman cercavano un volto nuovo. Lazenby si presentò letteralmente “sfondando la porta” del casting e facendo leva sulla sua fisicità.

Perché non ha fatto altri film della serie?

Ecco il paradosso: fu Lazenby a dire no, rifiutando un contratto per altri sei film, già pronto. Il suo agente gli consigliò male: gli disse che Bond era un personaggio “vecchio”, destinato a morire col passare degli anni ’60, e che il pubblico avrebbe voluto eroi più alternativi, in linea con il clima hippy e controculturale dell’epoca. Così, George Lazenby rifiutò un contratto milionario e uscì volontariamente di scena, convinto che avrebbe avuto una grande carriera da protagonista. Ma non accadde.

I produttori con il tempo capirono che la scelta era stata un azzardo. Il film non fu un flop (anzi, incassò bene e oggi è spesso rivalutato), ma la mancanza di Connery pesò. Dopo l’esperimento, i produttori riportarono Connery in scena per un ultimo film (“Una cascata di diamanti”, 1971), salvo poi ripartire con Roger Moore nel 1973.

Insomma, più che un Bond da dimenticare, un Bond da ripescare. Il film merita di essere rivisto (è a pagamento su Amazon – MGM), liberandosi da tanti pregiudizi accumulati in 50 anni.

p.s. il film vale la pena vederlo quanto meno per la Aston Martin DBS sulla spiaggia…

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© Gianluca Sposito


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