Lelio Luttazzi è stato una delle figure più rappresentative del periodo magico in cui musica, teatro, cinema e televisione parlavano un linguaggio comune fatto di grande scrittura, sense of humor ed eleganza. Uno splendido documentario, “Souvenir d’Italie” (dal titolo di una delle sue più celebri canzoni), scritto e diretto da Giorgio Verdelli, è andato in onda ieri sera su Rai 3 e – a 100 anni dalla nascita – ne ha ricordato la grandezza, ma anche la sorte avversa.“The New Yorker”, uno dei più celebri ed autorevoli periodici del mondo, questa settimana dedica un lungo articolo (firmato da Merve Emre) a Italo Calvino (del quale, lo ricordiamo, ricorre il centenario dalla nascita).

Lelio Luttazzi fu infatti vittima di uno dei più clamorosi errori giudiziari italiani. Nel 1970 l’artista è il Pippo Baudo degli anni ‘60. Un Pippo Baudo carico di fama, di soldi e di donne che sparisce di colpo, dalla sera alla mattina, quando la sua faccia qualunque da impiegato qualunque viene sbattuta su tutte le prime pagine sotto titoloni che strillano: “Arrestati Chiari e Luttazzi: droga”.

Nulla è vero, e l’artista viene rilasciato dopo 27 giorni trascorsi quasi tutti in cella d’isolamento nel carcere di Regina Coeli a Roma. La sua vita, umana e professionale, sarà definitivamente sconvolta, portandolo ad un prematuro ritiro dalle scene.

La triste vicenda giudiziaria e umana di Lelio Luttazzi occupa anche un capitolo di un mio libro, cui sono molto legato, dedicato al ‘pregiudizio’ in dieci grandi processi italiani. Si intitola “Prima di giudicare”, e più che un titolo per me è sempre stato un monito.

“Sono un pessimo spettatore del protagonismo altrui” (L. Luttazzi)

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Gianluca Sposito, “Prima di giudicare. Stereotipi e pregiudizi in dieci grandi processi”, Intra, 2020


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